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Roma, 15 novembre 2010

Al Presidente della Repubblica

On.le Giorgio Napolitano

 

Oggetto: Giustizia per le Accademie di Belle Arti italiane

 

Signor Presidente,

 

dopo anni di inutili richieste, di proposte di Legge mai attuate, l'unica speranza che rimane ai Professori e agli Studenti delle Accademie di Belle Arti italiane è quella di rivolgersi alla Sua persona che, in questi anni di esercizio delle Sue alte funzioni, ha dimostrato sempre uno spiccato senso di giustizia ed un raro equilibrio nell'intima comprensione delle situazioni più complesse.

 

Per effetto del cosiddetto Processo di Bologna, il Parlamento italiano, nell'ormai lontano 1999, promulgò due Leggi di riforma: la 509/99 per le Università e la 508/99 per le Accademie. In quest'ultima, si rinviava a una serie di regolamenti successivi la definizione di questioni fondamentali quali lo status giuridico ed economico dei docenti, la qualità del diploma, l'istituzione di master, dottorati e postdottorati di ricerca, nonché le forme di reclutamento del personale docente.

 

La premessa fondamentale della Legge 508/99 risiedeva nell’articolo 33 della Costituzione italiana, la quale pone le Università e le Accademie sullo stesso piano, in quanto istituzioni di alta cultura dotate di autonomia; segno evidente che i nostri Padri Costituenti dovevano avere ben chiaro quanto grande fosse il valore delle arti visive e della ricerca artistica per la rinascita della Nazione.

 

Si evince dal testo della nostra Carta fondamentale come l'Arte e la Scienza siano considerate, allo stesso modo, strumenti per la conoscenza e per il progresso del nostro paese. Le Accademie di Belle Arti, in quanto istituzioni di alta cultura, non sono mai state un proseguimento della scuola secondaria superiore ma piuttosto, allo stesso modo delle Università, un passaggio di livello da una formazione di tipo scolastico ad una formazione di grado superiore.

 

Purtroppo, il dettato costituzionale, recuperato solo parzialmente e dopo cinquant'anni dalla Legge 508/99, è stato completamente tradito dal legislatore perché ad oggi le Accademie di Belle Arti non sono riconosciute come parte integrante del sistema italiano di istruzione superiore universitaria.

 

A nulla sono valsi gli innumerevoli rilievi posti in questi anni dal Consiglio di Stato. In particolare, nel riaffermare pari livello e pari dignità tra Accademie e Università, il Consiglio di Stato ha lamentato il continuo ricorrere del Ministero competente a decretazioni, ordinanze e circolari per tamponare le parti irrisolte della disciplina giuridica vigente, impedendo però nei fatti il compimento del disegno di riforma delle Accademie nel senso indicato dalla Costituzione.

 

Nonostante il dettato originario della Legge 508/99 preveda – in linea con la Spagna, la Francia e la Germania – il passaggio a pieno titolo delle Accademie all'interno del sistema dell’istruzione superiore universitaria, e l'istituzione della laurea in belle arti di primo e di secondo livello, la realtà di fatto di queste antiche e nobili istituzioni (le Accademie nascono a Firenze e quelle italiane – Roma in particolare – sono state modello per le accademie europee e americane) è stata completamente stravolta e ridimensionata nella pratica attuativa.

 

Grande è il disappunto dei Professori delle Accademie italiane che per anni hanno atteso, invano, il riconoscimento giuridico della qualità e del livello del proprio lavoro didattico e di ricerca. Nonostante la premessa costituzionale e l'approvazione di una legge, essi continuano a permanere nella frustrante condizione di "figli di un dio minore" ai quali non è riconosciuta la stessa dignità professionale che si riconosce ai professori universitari.

 

Questo a fronte di una storia che vede l'arte del Novecento italiano segnata dalla presenza di artisti che altro non erano se non professori e studenti delle Accademie di Belle Arti. Da Sartorio a Mafai, da Morandi a Guttuso, da Mastroianni a Greco, da Ceroli a Monachesi, da Pascali a Kounellis, tanto per rimanere ai nomi storici, tutti erano docenti o studenti nelle varie Accademie.

 

Al disappunto dei Professori si somma quello degli Studenti che, dopo cinque anni di studio, non possono vantare un vero titolo di laurea, non possono accedere ai dottorati di ricerca né tanto meno a posti di ricercatore. Entrambi, quindi, sono discriminati rispetto ai loro colleghi universitari italiani ed europei.

 

Una nuova speranza per i Professori e gli Studenti delle Accademie di Belle Arti italiane si era accesa con l'ultimo progetto di riforma universitaria (Riforma Gelmini), il quale, in ossequio alla Costituzione e alla ratifica italiana della Convenzione di Lisbona, avrebbe dovuto ridisegnare, dentro uno scenario europeo, il nostro sistema universitario, e per ciò stesso, includere al suo interno la tanto attesa riforma delle Accademie.

 

Giacciono da anni in Parlamento molti disegni di legge sull'argomento, a firma di parlamentari di tutte le parti politiche. Purtroppo, questi stessi parlamentari, nel vagliare ed emendare gli articoli della Riforma Gelmini, si sono “dimenticati” di inserire nel quadro della nuova legge di sistema le Accademie. A conclusione dell’iter parlamentare della Riforma universitaria, infatti, le Accademie di Belle Arti sono state del tutto tagliate fuori. Con la conseguenza che esse costituiscono – allo stato attuale – il capitolo bianco, il capitolo non scritto del nuovo sistema universitario italiano. Un terribile passo indietro che rischia di far precipitare le Accademie allo status quo ante la Legge 508/99. Rischio aggravato dalla recente proposta del Ministro della Funzione Pubblica di riportare le Accademie di Belle Arti dentro il comparto negoziale della Scuola.

 

Ci hanno sempre detto che il maggiore ostacolo per le Accademie era, in sostanza, di tipo economico. Tuttavia, il miliardo di euro stanziato dalla Commissione Bilancio e in via di approvazione con la Legge di Stabilità, sembra ampiamente smentire questa 'antica novella'. Basterebbe, infatti, il 3% di quella somma per portare le Accademie, i Professori e gli Studenti dentro una cornice universitaria.

 

Queste contraddizioni, queste 'amnesie', queste 'sbadataggini', ci fanno capire che non si tratta di una questione di ordine economico, ma - come nel lontano 1999 – di una resistenza e di un'insipienza di ordine cultuale e morale.

La nostra amarezza, Signor Presidente, non viene soltanto dal mancato riconoscimento economico (che pure determina una forte discriminazione), ma piuttosto dalla dolorosa constatazione che la politica (con la "p" minuscola) non sa riconoscere la vera funzione delle nostre istituzioni che sono quelle dalle quali, inevitabilmente, uscirà l'immagine artistica dell'Italia del XXI secolo.

 

Paradossalmente, basterebbe il riconoscimento giuridico del ruolo universitario per i Professori e della laurea per gli Studenti, perché significherebbe aver capito che la voce dell'arte italiana, quella che fa ricerca continua e proietta nel futuro il nostro immenso patrimonio artistico, rendendolo carne viva, siamo noi.

 

Così, se in Spagna in Francia e in Germania un docente delle università o facoltà di arti visive è equiparato giuridicamente ed economicamente a un professore di altra facoltà, se in questi paesi uno studente di una facoltà artistica, a parità di impegno e di crediti formativi, si guadagna una laurea (che peraltro non ha valore legale) e ha il diritto di proseguire il proprio percorso con master, dottorato e post-dottorato, è ancor più legittimo attendersi – dopo undici anni – che in Italia, patria di Raffaello, Leonardo, Michelangelo, Caravaggio, Bernini, Canova, Fattori e De Chirico, una riforma generale del sistema universitario italiano si faccia carico di colmare questa gravissima mancanza.

 

Chiediamo, pertanto, il Suo autorevole intervento per il rispetto dell’articolo 33 della Costituzione, per il compimento della riforma delle Accademie di Belle Arti dentro il sistema universitario italiano, per la salvaguardia delle nostre antiche e nobili Istituzioni e per non dover scrivere la parola fine sulla storia dell'arte italiana. 

 

Prof. Marco Bussagli

 

Seguono firme di adesione.